EDWARD BACH E I PRINCIPI DEL NUOVO METODO DI GUARIGIONE
E. Bach nacque il 24 settembre1886 aMoseley, un piccolo villaggio vicino Birmingham, in Inghilterra.
Primo fra quattro figli, Bach spiccava per la sua natura curiosa, vivace e sensibile. Era un bambino pieno di interessi, ed era intuitivo e sensitivo. Queste due ultime qualità, si dice, derivano dalla sua origine gallese. Proprio in Galles veniva condotto in vacanza premio dal suo carissimo maestro elementare. Talmente gli piacque quella terra che lì volle passare tutte le vacanze, camminando moltissimo, osservando la natura, dormendo addirittura fuori la notte.
Imparava ad amare la natura, e non solo. Subito si concentrò sull’umanità sofferente, e questa sua sensibilità lo portò ad una costante osservazione di ogni aspetto della vita.
I suoi primi 16 anni trascorsero così al ritmo di interminabili passeggiate nei boschi del Galles, a contatto con le piante e gli animali, che imparò a rispettare e ad amare, unendo l’amore per la natura con la consapevolezza che l’uomo dovesse aiutare i suoi simili.
Divampò in questi anni, giovanissimo, la vocazione di fare il medico.
Per non essere di peso alla famiglia volle lavorare nella fabbrica di oggetti sacri del padre, come operaio. Si rese però subito conto di quanto lo faceva soffrire quella routine, gli orari fissi e precisi, in quanto l’inspirazione creativa poteva arrivare nei momenti più inaspettati.
Per Bach la cosa più importante nella vita di chiunque era di seguire la propria intuizione, per non sentirsi in caso contrario vuoti, insoddisfatti e fisicamente esausti.
Tutti noi sappiamo bene cosa vuol dire tutto ciò. Quando facciamo un lavoro senza interesse e con poca passione, sebbene leggero, questo ci esaurisce, mentre altre volte lavorare seguendo le nostre più intime inclinazioni, anche incessantemente, con piacere e gioia, non ci stanca minimamente.
Così l’amante dei boschi e dell’umanità non ne volle più sapere del lavoro in fabbrica e a 20 anni si iscrisse a medicina a Birmingham, deciso a diventare medico e a studiare seriamente.
Si laureò a 28 anni in medicina e cominciò subito a frequentare come tirocinante l’University College Hospital di Londra.
Gli mancavano le passeggiate, la natura e il linguaggio delle forme, dei colori e dei profumi delle piante, che accrescevano la sua indole sensitiva. Il trambusto della città lo rendeva malinconico.
Preferiva passare tutto il suo tempo accanto ai malati, piuttosto che sui libri. Così ebbe modo di notare le diverse reazioni dei pazienti alla stessa malattia.
Notò allora come la personalità dell’individuo influenzava le reazioni dei medicinali, e di come questi erano molte volte insufficienti.
Giunse allora alla conclusione che “… la personalità dell’individuo, la comprensione della sua vita, delle sue emozioni, dei suoi sentimenti sono di maggior importanza rispetto al suo corpo fisico nella cura della sua malattia…”
Decise allora di dedicare i suoi sforzi e i suoi soldi maggiormente in campo immunologico e si concentrò sulla flora batterica intestinale non patogena, ritenendola un indice della tossicità organica.
Prese a lavorare nel pronto soccorso dell’University College Hospital, divenne assistente batteriologo e aprì uno studio privato vicino Harley Street, una zona molto ricca di Londra.
Preparò quindi dei vaccini che ottennero discreti risultati sui malati cronici e quelli ritenuti incurabili.
Scoprì che certi batteri, presenti nell’intestino di noi tutti, erano in numero maggiore nei malati cronici. Dopo mesi di ricerca infaticabile e appassionata preparò dei vaccini che iniettò per via endovenosa. Ottenne risultati miracolosi. Disturbi come l’artrite, i reumatismi e i mal di testa regredirono in tutti i suoi pazienti, ai quali tornava a iniettare i vaccini solo quando il sintomo si faceva risentire, a differenza dei suoi colleghi che, contrariamente alla sua sensibilità, avrebbero iniettato il rimedio quotidianamente, come era abitudine fare.
Portò quindi un grande cambiamento nella cura delle malattie croniche, alleviando così le sofferenze di centinaia di malati.
Venne poi la prima guerra mondiale e oltre al suo lavoro di ricerca e di assistente di batteriologia si prese la responsabilità di 400 posti letto. Lavorava giorno e notte e, per la sua delicata e debole salute gli capitava di svenire sulla propria scrivania o sul banco di lavoro del laboratorio. Dormiva pochissimo e tutti i suoi sforzi erano per alleviare le sofferenze dei malati.
Quello che gli permetteva di andare avanti era la sua immensa forza d’animo, il suo amore per l’umanità, la sua continua ricerca di un metodo nuovo e semplice che potesse guarire, e non solo tamponare.
A 31 anni, nel Luglio del 1917, ebbe un’emorragia e fu operato d’urgenza: gli trovarono un tumore allo stomaco e gli diedero tre mesi di vita.
Sofferenze atroci lo dilaniavano fisicamente, ma ancora di più nell’animo, tormentato dall’idea di dover abbandonare il suo lavoro nel quale tanto aveva creduto.
Non appena si rimise in piedi decise di continuare a fare come sempre, fino a che il fisico lo avrebbe sorretto.
Si rituffò nel lavoro e riprese a lavorare con ritmo doppio a quello precedente. La luce della sua stanza non si spegneva mai, giorno e notte, sempre in febbrile attività.
La sua salute ben presto migliorò e i tre mesi passarono, e le forze raddoppiarono proporzionatamente all’impegno e alla passione che metteva nel lavoro.
Maturò in lui la convinzione allora che uno scopo nella vita, un grande interesse, un grande amore avrebbe potuto aiutare chiunque a superare le difficoltà e a restituire la salute.
Nel 1918 nei campi militari scoppiò un’epidemia di influenza che altrove aveva già seminato morte e il giovane medico ebbe il permesso di utilizzare i suoi preparati in provetta. Salvò così migliaia di vite umane nei campi militari dove era medico.
Le sue ricerche ebbero numerose pubblicazioni, e la sua fama crebbe enormemente.
In quegli ultimi mesi del 1918, Bach diede inizio a nuove ricerche e si rese conto di quanto tempo avesse bisogno.La University CollegeHospital decise che i propri dipendenti dovessero lavorare a tempo pieno. Per lui non se ne parlava proprio, deciso com’era a portare avanti i propri studi. Impiantò quindi, a proprie spese, un laboratorio di ricerca tutto suo, a Nottingham Place.
Pochi mesi dopo, nel marzo del 1918, nell’ospedale omeopatico di Londra si liberò un posto di patologo e batteriologo, e vi prese servizio.
In questo periodo Bach lesse l’opera di Hahnemann, l’Organon, e tutto quanto c’era sulla nuova medicina, constatando quanto le sue teorie sull’origine della malattia andavano d’accordo con il fondatore dell’omeopatia. Anche Hahnemann aveva scoperto la relazione che intercorre tra la malattia cronica e l’intossicazione intestinale, convinto che qualsiasi malattia per potersi sviluppare si doveva trovare un terreno fertile.
Egli affermava che nel corpo esistono tre veleni (syphilis, sycosis e psora) che dovevano essere considerati e ridotti perchè la terapia avesse successo.
Il nostro giovane medico inglese si strabiliò di fronte a tanta genialità e all’uso che il fondatore dell’omeopatia faceva delle piante e delle erbe medicinali. Identificò i primi due veleni e scoprì che la psora erano le tossine dell’intestino. Preparò quindi dei vaccini che somministrò per via orale e ottenne grande successo.
Questi vaccini vennero chiamati “i sette nosodi di Bach-Paterson”, e vennero usati soprattutto in Inghilterra, America e Germania.
Li divise in sette categorie, secondo la loro fermentazione.
Ogni paziente veniva controllato in base alla predominanza dei batteri presenti, e gli si somministrava il nosode adatto.
La sorpresa era che le persone che avevano gli stessi batteri predominanti avevano anche vari aspetti in comune, una simile personalità.
Era in grado oramai di descrivere la personalità di un paziente solo dalle analisi di laboratorio, o, al contrario, indovinare quale batterio era presente nell’intestino di una data persona solo dall’osservazione delle sue fattezze, dal suo atteggiamento, dal suo tono di voce.
Fu così che il dottor Edward Bach risparmiò ai suoi pazienti le noiose analisi, lunghe, dolorose e costose.
A causa del suo lavoro e della sua fama lasciò il posto di patologo e batteriologo all’ospedale omeopatico, ma riuscì a mantenere gli studi ad Harley Street e Notthingam Place, dove riceveva continuamente i più poveri senza farsi pagare.
Continuava a lavorare e a sperimentare nuovi metodi di cura, tra i quali l’elettricità e i raggi X, ma non trovava mai completa soddisfazione.
Si interessò di dietetica, pensando di poter eliminare le tossine in questo modo. Consigliava a tutti i suoi pazienti cronici di eliminare gran parte dei prodotti animali, soprattutto il formaggio, e di preferire cereali, noci, alimenti crudi, frutta e verdura.
Un’alimentazione corretta e l’uso dei suoi vaccini portavano il paziente a un miglioramento che non era da ricercare in un trattamento locale, ma in un miglioramento generale.
I metodi che Bach continuava ad utilizzare erano ovviamente quelli scientifici e tutto sommato i sette nosodi erano comunque dei gruppi di batteri.
In lui cresceva sempre di più la voglia di sostituire i nosodi con sette piante. Ne cercò alcune e ne trovò certe che avevano un effetto analogo, seppur di minor efficacia.
Non lasciava mai la sua intuizione ed era portato sempre ad osservare i comportamenti delle persone che curava e degli amici. Una mente sempre in continua elaborazione, ovunque si trovasse.
Facilmente individuò non solo sette gruppi di personalità da associare ai nosodi, ma ben presto compilò una lista di dodici stati d’animo, secondo i quali prescriveva le medicine ai pazienti che appartenevano a un gruppo o ad un altro. Essi sono:
- Paura
- Terrore
- Inquietudine, ansia o tortura mentale
- Indecisione
- Indifferenza o noia estrema
- Dubbio o scoraggiamento
- Preoccupazione estrema
- Debolezza
- Sfiducia in sé
- Impazienza
- Entusiasmo estremo
- Orgoglio o tendenza a tenersi in disparte
Cresceva in lui un grande fervore e intravedeva allora nuove possibilità terapeutiche.
A 42 anni, spinto dalla necessità di ricercare nel mondo naturale la fonte dei rimedi terapeutici, si recò in Galles, in quei campi dove era cresciuto da bambino.
Lì cominciò la sua preziosa ricerca scientifico-spirituale che ha rivoluzionato il mondo medico e scientifico.
I primi tre fiori da lui trovati furono Impatiens, Mimulus e Clematis. Li preparò come faceva con i nosodi e li somministrò intuitivamente secondo la personalità del paziente.
I risultati erano sorprendenti e facevano ben sperare.
Tornato a Londra fu assalito dal ritmo frenetico della vita ambulatoriale, e dalla città che non gli dava ciò che lui cercava.
Nella primavera del1930, a43 anni, Bach lasciò definitivamente Londra per recarsi in campagna.
Lasciò tutti i suoi pazienti nelle mani dei suoi amici medici, fidati e coscienziosi collaboratori. Distrusse tutte le siringhe, le bottigliette con i vaccini, e tutti i suoi scritti che gli avevano dato tanta fama. Vendette tutte le apparecchiature e i mobili del laboratorio e con il ricavato partì per il Galles. Partendo commise un errore che poi si rivelò utilissimo. Scambiò una valigia con pestelli e mortai con una piena di scarpe, che si rivelarono utilissime, per le lunghe e numerosissime passeggiate che fece in quegli anni.
Pensava unicamente al suo nuovo metodo terapeutico da perfezionare.
Andò quindi alla ricerca delle erbe che avrebbero costituito il suo nuovo sistema di cura.
Al proposito gli interessava tutto: l’ambiente in cui crescevano, il tipo di terreno, il colore e il numero dei petali, la forma, se avessero tuberi o radici, in quale stagione fiorissero e se i fiori femminili e maschili fossero separati.
Intuitivamente capì che il principio vitale delle piante risiedeva lì dove si racchiude il seme, la massima espressione della vita, e cioè nelle corolle dei fiori e nei frutti degli alberi .
Pensò allora di sperimentare la preparazione dei rimedi con un metodo diverso.
Uscendo molto presto al mattino notò la rugiada sopra i petali dei fiori e si ricordò che Paracelso parlava di questa come Acqua che nasce dall’interazione di altri due elementi:la Terrae l’Aria.
Come la contemplazione, la meditazione, la coltivazione dei campi, e tutto quello che ad un uomo gli piace fare in attività e a contatto con la natura all’alba, questa pratica purifica tutti i corpi sottili dell’uomo, specialmente il campo eterico, dove risiedono molte psico-tossine, provenienti dagli altri campi emotivo, mentale e spirituale.
Bach allora decise di assaggiare la rugiada e prese quella sui fiori sia all’ombra che al sole.
Intuì che la qualità della pianta si trasmette alla rugiada sotto l’influenza del sole, e anche se il pensiero sembrava molto semplice, si convinse che nella semplicità spesso risiede la perfezione.
Per ottenere il rimedio si procurò una ciotola e acqua pura di sorgente. Vi immerse le corolle dei fiori al mattino presto, nel loro periodo di massima fioritura. Lasciò che il sole riscaldasse leggermente l’acqua nella ciotola e dopo quattro – cinque ore, non appena vide i fiori essersi leggermente devitalizzati, li toglieva con un bastoncino.
Riempì una bottiglietta metà di brandy, per la conservazione, e metà di acqua del fiore.
Creò in questo modo il metodo del sole alla base del quale risiedeva la semplicità, l’essenziale, i quattro elementi della natura: il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, uniti in collaborazione per ottenere rimedi di grande forza.
Bach nel descrivere il suo metodo diceva: “La Terra per coccolare la pianta, l’Aria della quale si nutre, il sole o il Fuoco per rendere possibile che la pianta riveli il proprio potere e l’Acqua per assimilare, raccogliere ed essere arricchita della forza magnetica guaritrice”.
Egli aveva compreso bene il significato della malattia e spiegò che questa non dipende da cause fisiche o fisiologiche, ma che “…le sofferenze del nostro corpo dipendono dai nostri stati mentali, dalla qualità delle nostre emozioni e da quanto permettiamo che interferiscono con la nostra serenità e quiete”.
L’attaccamento alla nostra immagine, la paura, la rabbia, la depressione,… a lungo andare causeranno un esaurimento fisico e mentale, che si ripercuoterà immediatamente sugli organi del corpo e sui tessuti nervosi.
Questi aspetti sono quelli che chiamiamo i nostri nemici, e sono solo dentro di noi.
Ci lamentiamo che ci troviamo sempre di fronte persone depresse? Verifichiamo se, in fondo alla nostra mente cosciente, nel sub-conscio, non siamo anche noi un po’ tendenti all’apatia e alla malinconia, forse abilmente mascherata.
Se notiamo il difetto che ci irrita, scopriremo che quell’atteggiamento ci appartiene e forse sarà proprio fra quelli che conosciamo meno di noi stessi.
Ne consegue che il nostro stato mentale è il vero indicatore delle cause delle nostre malattie.
Per E. Bach i rimedi floreali sono i farmaci più indicati nella cura perché “rafforzano la forza spirituale che purifica pensiero e corpo, dando guarigione”.
Bach, nel suo libro Guarisci te stesso ci invita ad esercitarci per migliorare le nostre qualità di gentilezza, forza, coraggio, saggezza, fermezza, costanza e perseveranza.
Per fare più luce, tanta da annientare qualità opposte come l’ingordigia, la crudeltà, l’egoismo, l’ignoranza, l’orgoglio e l’odio.
La malattia si annulla non appena si ristabilisce l’armonia. I fiori hanno questa funzione, sta poi a noi esercitarci e impegnarci a sviluppare quelle qualità che ci mancano. Sembra tutto così semplice, ma non lo è, nei fatti…
Dall’estate del 1930 alla primavera dell’anno successivo Bach scelse di trascorrere il suo tempo in un piccolo villaggio di pescatori, Cromer, sulla costa di Norfolk. Viveva semplicemente, immerso con dedizione e amore nel suo continuo cercare. Aveva scoperto il suo metodo, attivo a tutti i livelli.
Continuava ad elaborare gli stati d’animo comuni a tutti gli individui, e gli venne l’idea di trovare il fiore adatto per ciascun stato d’animo.
Nelle sue interminabili e profonde passeggiate cominciava a trovare i fiori che egli cercava. La sua natura sensitiva gli permetteva di provare lo stato d’animo che quel fiore avrebbe curato.
Molte volte anche laddove i sintomi erano di intenso dolore fisico la sola comprensione dell’emozione che l’aveva provocata era sufficiente a sciogliere la sofferenza.
In quei momenti succede semplicemente che entra la luce lì dove è buio, con una vibrazione armonica positiva che risuona come un bell’accordo armonico e melodioso di una chitarra imprimendo la qualità spirituale pronta per noi.
Trovò Agrimony, che dà sollievo in casi di ansia nascosta, Chicory, che rasserena le persone preoccupate all’eccesso per i loro cari, fino a diventare possessive ed egoiste.
Preparò Vervain, per gli idealisti e gli entusiasti all’eccesso, il potentissimo, miracoloso Clematis, che ha il potere di riportare alla coscienza chi è svenuto e di “risvegliare” gli addormentati.
In questo piccolo villaggio scriveva gli articoli per diffondere le sue scoperte e viveva facendo il medico. Da molti villaggi e città oramai erano in molti a muoversi per farsi visitare dal dottor Bach, che confermava a sé stesso come ogni caso trattato necessitava principalmente della salute mentale prima di quella fisica.
Le sue ampie descrizioni di casi clinici confermano quanto detto: una signora di settant’anni soffriva di cattiva digestione e di angina pectoris e di una direttrice di una casa per ragazze che aveva un inizio di sordità. Notò che entrambe erano molto preoccupate per il benessere di chi gli stava vicino, ma che erano anche molto egoiste e possessive. Dette loro Chicory e in due mesi l’anziana signora si liberò dei suoi disturbi ed aveva meno pretese affettive dalla famiglia, e la direttrice guarì definitivamente dalla sordità.
Sicuramente quello che guariva erano anche le parole di Bach, che non mancava di sicuro il bersaglio, il punto nevralgico, l’atteggiamento – causa dei disturbi dei suoi pazienti.
Con la sua voce gentile e decisa accoglieva i suoi pazienti e dava loro delle semplici indicazioni, anche solo una parola, senza mai essere invadente, incoraggiamento e tutta la speranza che poteva e lasciava poi che il fiore lavorasse e la loro virtù guaritrice facesse tutto il resto.
Partì poi per il Galles e comprò una residenza, il “Mount Vernon”, dove tuttora ha sede il Bach Centre.
Le sue ricerche continuavano e trovò Gorse, per i depressi e gli scettici, Water Violet, per chi si tiene in disparte e soffre in silenzio, Rock Rose, per il panico. Poi si fece spedire l’Olive dall’Italia, per trovare pace, utile nei casi di esaurimento fisico e intellettuale, Vine dalla Svizzera, per gli autoritari. Trovò Wild Oat, per chi è indeciso su quale strada scegliere, e Scleranthus, per l’indecisione.
Qui cominciò ad elaborare la combinazione più usata e conosciuta: il Rescue Remedy, inizialmente formato da Impatiens, Clematis e Rock Rose, utilissimo in tutti i casi di emergenza.
Spediva continuamente i suoi articoli ai giornali, che puntualmente rifiutavano di pubblicare. L’ordine medico lo redarguì per la sua mancanza di professionalità, separandosi sempre di più dal suo semplice pensiero.
La sua sensitività aumentò parecchio e riusciva a provare gli stessi dolori del paziente che sarebbe venuto. Anche i suoi stati d’animo cambiavano. Soffriva di continue tensioni mentali che esaurivano il fisico ed era così costretto a trovare il fiore adatto per trasformare lo stato negativo che procurava sofferenza.
Trovò quindi altri rimedi, ognuno adatto ad uno stato d’animo e a una persona che soffre.
Siamo nel 1936, ed Edward Bach ha 50 anni.
Il suo stato di salute, già debole, venne aggravato da una malattia del sangue.
Decise di istruire il maggior numero di persone, mediche e non, sul suo sistema di guarigione e prevenzione, con i suoi 38 fiori, porte per l’Anima.
A maggio spedì una lettera colma di serenità, che esprime tutta la sua forza e indipendenza agli amici.
Poi, prima di morire, il 27 Novembre 1836, scrisse la sua ultima lettera:
“Tutta la vera conoscenza viene soltanto dalla nostra interiorità, in una comunicazione silenziosa con la nostra anima. Le dottrine e le civiltà ci hanno derubato del Silenzio, ci hanno sottratto la Conoscenza che tutti abbiamo dentro di noi.
Siamo stati portati a credere che dobbiamo ricevere l’insegnamento dagli altri e quindi i nostri io spirituali sono stati sommersi. La ghianda che è stata portata mille miglia lontana dal suo albero-madre sa, senza istruzioni, come diventare una quercia perfetta. I pesci del mare e dei fiumi depongono le loro uova e nuotano lontano. Lo stesso vale per i ranocchi. Il serpente depone le sue uova nella sabbia e se ne va per la sua strada; eppure nella ghianda e nelle uova esiste tutta la conoscenza necessaria al frutto per diventare tanto perfetto quanto i suoi genitori. Le giovani rondinelle sanno trovare la strada per passare l’inverno mille miglia lontano, mentre i loro genitori sono ancora occupati con la seconda nidiata.
E’ necessario ritornare alla Conoscenza che si trova dentro di noi e che contiene tutta la Verità. Per ricordare tutto questo sapere non c’è bisogno di cercare consiglio, non esiste alcun insegnamento valido se non quello interiore.
Cristo insegnò che i gigli del campo, nonostante non abbiano mai faticato o lavorato, sono vestiti in modo più perfetto di Re Salomone in tutta la sua gloria. E Buddha ci insegnò che saremo sulla giusta strada della realizzazione di noi stessi quando ci saremo liberati di preti e di libri.”